Al fine di rendere il parere richiesto, in merito alla configurabilità o meno del reato di diffamazione nel caso in cui indirettamente ed implicitamente alcune frasi possano fare riferimento a persone non identificate e non identificabili, è opportuno procedere all’analisi dell’art. 595 c.p.
Il reato di diffamazione, disciplinato all’art. 595 c.p., c. 1, punisce il fatto di chi, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione.
Al secondo ed al terzo comma della medesima disposizione è previsto che: “se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni.”
“Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516.”
Si tratta di un delitto contro la persona a tutela dell’onore e della reputazione, intendendosi per reputazione non la considerazione che ciascuno ha di sé o il semplice amor proprio, ma il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Quanto all’elemento oggettivo del reato, si precisa che la sfera morale altrui può essere lesa sia con modalità direttamente ed oggettivamente aggressive del diritto all’ apprezzamento e alla opinione altrui, sia con modalità che, oggettivamente non lesive, tali diventano per le forme con cui vengono estrinsecate. La Suprema Corte sul punto ha precisato che: “in tema di diffamazione, il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa e dal contesto comunicativo con cui si estrinsecano e, quindi, l’evento lesivo della reputazione altrui può ben realizzarsi, oltre che per il contesto oggettivamente offensivo, anche perché il contesto, in cui la stessa è pronunciata, determina un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole quanto meno un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio”. (Cass. Pen. Sent. n.482 del 2009)
Inoltre, si tratta di un reato formale ed istantaneo che si consuma con la co-municazione con più persone lesiva dell’altrui reputazione, aggravando il reato, l’aver offeso l’altrui reputazione col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. In particolare, integra il reato di diffamazione aggravato, ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., la diffusione delle espressioni offensive mediante il particolare mezzo di pubblicità della posta elettronica, con lo strumento del “forward” a pluralità di destinatari”.
Quanto all’elemento soggettivo, ai fini della sussistenza dell’elemento psico-logico del reato di diffamazione, è sufficiente il dolo generico, vale a dire la consapevolezza di offendere l’onore e la reputazione di altro soggetto.
Inoltre, è un reato perseguibile a querela di parte, entro 90 giorni dall’avvenuta conoscenza.
Nel caso specifico, frasi indirette e che implicitamente sotto forma metaforica, allusive dell’ allontanamento di cose o persone negative per l’ambiente lavorativo e pronunciate all’interno di una comunicazione via e-mail, inviata ad almeno 50 persone, sembrerebbe non configurare il reato di diffamazione anche alla luce del fatto che nelle suddette frasi non c’è riferimento a persone determinate e nemmeno a fatti specifici, potendo le stesse frasi riferirsi addi-rittura a cose o a programmazioni utili per determinate attività lavorative.
Infatti, il reato di diffamazione è costituito dall’offesa alla reputazione di una persona determinata. L’individuazione dell’effettivo destinatario dell’offesa è condizione essenziale ed imprescindibile per attribuire ad essa una rilevanza giuridica-penale. Sul punto la Corte di Cassazione ha espresso il principio secondo cui: “in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’individuazione del destinatario dell’offesa deve essere deducibile, in termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione dell’offesa, sicchè è necessario fare ricorso ad un criterio oggettivo, non essendo consentito il ricorso ad intuizioni o sog-gettive congetture di soggetti che ritengano di poter essere destinatari dell’offesa”. (Cass. Pen. Sent. n. 11747 del 2009)
Ed ancora, si ritiene che l’individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, così che possa desumersi, con ragionevole certezza, l’inequivoca individuazione dell’offeso.
Tuttavia, giova evidenziare che, in senso contrario, la Suprema Corte ha preci-sato che: “in tema di diffamazione a mezzo stampa, qualora l’espressione lesiva dell’altrui reputazione sia riferibile, ancorchè in assenza di indicazioni nominative, a persone individuabili e individuate per la loro attività, esse possono ragionevolmente sentirsi destinatarie di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 595 c.p.” ( Cass. Pen. N. 2784 del 2015).
Nel caso che ci occupa, trattandosi di frasi generiche e non riferibili a fatti determinati o a persone individuate, nessuno può ragionevolmente sentirsi destinatario delle espressioni suddette. A sostegno di ciò, si richiama una recente pronuncia della Suprema Corte che ha espresso il principio secondo cui: il reato di diffamazione è costituito dall’offesa alla reputazione di una persona determinata e non può essere, quindi, ravvisato nel caso in cui vengano pronunciate o scritte frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una categoria anche limitata se le persone cui le frasi si riferiscono non sono individuabili. ( Cass. Pen., Sent, n.24065 del 2016).
Alla luce di tutto quanto esposto, in conclusione, nel caso specifico, non sem-bra configurabile il reato di diffamazione, non potendosi individuare i desti-natari delle frasi eventualmente diffamatorie, poiché non determinati e non individuabili (se non in un successivo periodo, staccato dalla frase eventualmente allusiva). Di contro, si ravviserebbe diffamazione qualora ci sia il “riferimento inequivoco a fatti e circostanze di notoria conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto e la possibilità di identificazione, anche tra una cerchia o categoria di persone ed anche in via induttiva”.